Televisione svizzera. Ancora le immagini del porto e degli otto individui arrestati.
La pista del terrorismo internazionale stenta a trovare conferme.
In un villaggio a qualche chilometro da Losanna, Henri se ne sta a casa davanti
alla televisione.
Sta aspettando. Gli occhi fissi sullo schermo scrutano un viso che conosce.
E' il viso di un uomo con una camicia azzurra, la cui immagine resta congelata
sullo schermo per quasi cinque secondi. Occhi negli occhi, come quando l'aveva
visto per la prima volta, quando già sapeva tutto di lui e Nadezhda.
Quattro, tre, due, uno.
L'immagine scompare dallo schermo, ma resta davanti agli occhi di Henri come un
sipario chiuso sulla sua percezione del tempo.
Sulle scale. Ecco dove si erano visti la prima volta.
Henri usciva dall'ascensore e lo aveva visto salire l'ultima rampa di scale che
portava al piano dove lavorava Nadezhda.
I loro sguardi si erano incrociati. I loro cuori battevano sotto le scariche di
adrenalina.
Per Henri il dolore della verità. Per l'altro la stessa cosa, mascherata
dall'imbarazzo di aver sparato per primo.
Avevano due facce stanche. Nei loro sguardi non c'era odio, perchè per odiare
occorre che ne rimanga la forza.
- Ciao - gli aveva detto quell'uomo, che forse non sopportava più il silenzio.
Henri aveva risposto quasi senza volerlo. Poi se ne era andato con la sensazione di
fuggire.
Vederlo in televisione gli faceva un strano effetto. I primi tempi gli avrebbe
augurato di morire, ma poi il protrarsi di quella situazione assurda gli aveva
tolto ogni sorta di risentimento.
Una sensazione scomoda. Quella che nessuno di loro due soffrisse più dell'altro,
e dopo essere riuscito a misurare la sua sofferenza era nato in lui una specie di
rispetto per quell'uomo, anche se aveva sconvolto la sua vita.
E ora se ne stava lì, sul divano, con il sorriso amaro di chi si rende conto che
quando la vita ci si mette può farti arrivare a pensare qualsiasi cosa, compresa
l'idea che se mai un giorno avesse dovuto perdere Nadezhda, si sarebbe augurato di
vederla con lui piuttosto che con qualcun altro.
Suona il telefono.
- Buongiorno Henri, sono Natalja -
Vorrebbe rispondere, ma se ne sta zitto. E più sta zitto più lo coglie il panico.
- Henri? Mi senti? -
- Sì, mi scusi. Sono qui -
- Nadezhda sta venendo a casa. Sarà lì tra circa un'ora. Tu stai bene? -
- Sì. Sono un po'... Sto bene, sì -
Henri riattacca il telefono. Si alza e va in cucina, apre il frigo e prende una
birra.
E' sfinito. Ancora un'ora da aspettare, con quell'immagine negli occhi.
Si chiede di chi sia la colpa di tutto questo, e non si risponde per paura di farsi
del male. Adesso ha addosso la disperazione di due persone. Come se non fosse
bastata la sua.
Si alza dal divano e va in camera da letto quasi di corsa. Apre l'armadio e guarda
i suoi vestiti. Da sopra l'armadio prende una valigia, e comincia a riempirla come
se volesse tappare una falla nella sua felicità, come fosse l'apertura da cui sta
entrando tutto il dolore che sente.
Vorrebbe aver voglia di spaccare tutto, e invece si sente vuoto.
Guarda una foto di lui e Nadezhda appesa al muro. Sa che non lo farà, ma cerca di
guardarla come chi poi la ridurrà in mille pezzi.
Maledizione alla gente che non cambia. Maledizione a tutti, quindi.
Perchè nessuno cambia mai veramente.
La donna che tornerà a casa tra un'ora è la stessa che sorride nella foto, e lui
non è un uomo diverso da quello che la abbraccia ridendo sdraiato sotto un albero.
Come sarebbe più facile dirsi che niente è più come prima, scoprire di lei qualcosa
che non avevi mai capito, che avevi fatto finta di non vedere, o che così fredda
nella sua malvagità era riuscita a nasconderti per anni, per poi colpirti solo il
giorno in cui ormai non avevi più difese, colpirti da dentro, come un cavallo di
Troia.
E invece no.
Svuota la valigia e la rimette al suo posto. Poi si sdraia sul letto.
In bocca il sapore della birra a stomaco vuoto. Ti disseta, ma dopo ogni sorso ti
torna la bocca secca che avevi prima, e con quel sapore amaro non riesci a pensare,
e cerchi in tutte le tasche dei tuoi vestiti una caramella che ti aiuti a
riprendere la salivazione.
Cinquanta minuti per trovare una caramella. Quando poi suona il campanello l'amaro
in bocca lascia il posto alla paura.
Henri ha paura di guardare negli occhi la sua donna, e leggerci tutto quello che
ormai è inesorabilmente scritto.
Prima di aprire la porta fruga nel fondo della sua anima, per riuscire a trovare
qualcosa che assomigli a un sorriso, ma si accorge che questo non è un giorno
fortunato per la caccia ai sorrisi e alle caramelle.
- Ciao. Tua madre mi ha chiamato, mi ha detto che stavi arrivando -
Nadezhda invece gli sorride, ed entra in casa. Ma sembra quasi che non si regga in
piedi. Si dirige spedita verso la cucina, ma è solo un modo per allontanarsi da
lui, per prendere tempo e cercare di raccogliere le forze necessarie per fare
quello che la vita ha deciso che lei faccia.
Quando Henri la raggiunge in cucina lei si sente braccata. Sa che questa volta non
ci sarà più spazio per le indecisioni.
Scacco matto.
- Amore, devo andarmene. E' giusto così. -
- Lo so. -
Una frase, una risposta. Una tempesta che dura un secondo, un fulmine annunciato
che non ti lascia nemmeno il tempo di capire cosa sta succedendo. E tutto cambia in
un istante, esattamente nel modo che avevi immaginato da mesi.
Sì, perché in fondo cos'è successo di così imprevedibile?
Sapevi già che sarebbe finita così. Con una frase, l'unica possibile. Senza un
contesto in cui inserirla, anche se Nadezhda ne aveva sicuramente cercati mille, di
questo ne sei certo, come del fatto che non le sarebbero bastati mille anni per
trovarne uno.
E così il giorno peggiore della vita di Henri diventa paradossalmente quello in cui
sui suoi pensieri stanchi e aridi cominciano finalmente a piovere le sicurezze.
Ne trova addirittura una che latitava da mesi, così, piovuta dal cielo non appena
Nadezhda finisce la sua frase.
Ora ne è convinto.
Non ha bisogno che lei resti solo perché si sente in colpa.
Se lei vuole restare, o se un giorno tornerà, dovrà essere per amore.
E dovrà esserne convinta.
Perché lui non ce la fa più.
Perché lui è un uomo.
Nadezhda va in camera da letto e prende la valigia sopra l'armadio. La riempie di
vestiti, quasi involontariamente, come se a spingerla fosse la forza del destino.
E lei, timidamente, cerca di resistere a quella forza. E quando oppone troppa
resistenza se ne vergogna.
Esce dalla camera con la valigia in mano.
Henri è seduto sul divano.
La vede e si alza.
Le sorride per rassicurarla, anche se il suo stomaco è tanto chiuso quanto vuoto, e
ha l'impressione che la sua vita stia cadendo a pezzi, che il suo corpo non
risponda più ai comandi, e che le sue sensazioni si stiano spegnendo una ad una,
tranne quel gusto amaro che non trova nemmeno una goccia di saliva per farsi
deglutire.
Nadezhda si avvicina per salutarlo.
Toc toc...
Eccolo.
E' arrivato.
E' la cosa che al mondo tutti hanno cercato di rimandare il più possibile.
E' la cosa che al mondo puoi spostare nel tempo con più facilità.
Puoi rimandarlo di un giorno, di un anno, a volte anche di una vita.
Ma poi quel giorno arriva, e in un attimo ti accorgi che non puoi più giocare con
il tempo.
Lo riconosci, vero?
E' un addio.
Può essere inevitabile quanto vuoi, annunciato, persino giusto. Può essere uguale a
mille altri, può non essere il primo tronco di traverso sulla strada della tua
vita, può assomigliare terribilmente ad una scena già vista di un film mieloso, uno
di quelli che ti stomacherebbe rivedere.
Non conta nulla.
Questo è un addio.
E' sempre il primo. E' sempre il più tragico.
Ti entra dentro al solo scopo di svuotarti, perché solo così può darti una
possibilità di sopravvivere. E lo fa con la grazia di un macellaio, ma solo per
nasconderti la sua precisione chirurgica.
Non perde tempo ad anestetizzarti. Perchè non c'è più tempo.
Compie il suo lavoro incurante della gente che hai intorno, della televisione
troppo alta, delle luci di un albero di Natale, della tenerezza con cui da un'ora
stai cercando una caramella come se fossi ancora un bambino.
Senza guardarti negli occhi fa a pezzi tutto quello su cui hai costruito il tuo
amore, lasciando per ultima la cosa più importante, l'unica che ancora difenderesti
a costo della tua vita piuttosto che lasciarla al suo coltello.
La Verità.
E tu allora abbassi gli occhi, per sembrare indifeso come un cerbiatto di fronte ad
una tigre, nel tentativo di ingannarlo e di fargli credere che abbia finito il suo
lavoro, che ti abbia già portato via tutto, e si dimentichi di fare a pezzi
quell'ultima cosa: la Verità.
Abbassi gli occhi, ed era quello che voleva.
Il suo lavoro ora è finito.
Non sei il primo e non sarai l'ultimo.
Ti ha fregato.
Perché quando rialzi gli occhi la persona che ami se ne è già andata.
Così capisci cos'è un addio, e te ne rimani lì con la tua verità del cazzo, che
potrai tenerti per sempre.